L’eterno fascino di Silverstone, 

la culla della Formula-1

Un evergreen dal fascino immortale. Dove storia e velocità si fondono in un’atmosfera magica e adrenalinica al punto che sembra di stare in un luogo fuori dal tempo. Questo e molto altro è Silverstone, uno dei circuiti simbolo delle corse e soprattutto della Formula-1.

Perché fu proprio qui, nel profondo delle campagne del Northamptonshire, centrotrenta chilometri a nord-ovest di Londra e le sole tonalità del verde come colori, che si corse il primo gran premio valido per il campionato del mondo. Era il 13 maggio 1950, un sabato. Vinse un italiano, Giuseppe Farina, su una vettura italiana, l’Alfa Romeo, a oltre 150 km/h di media. Un’ode alla velocità – la sua “158” sprigionava 350 CV contro i 995 CV della Mercedes di oggi – composta su quattro rettifili ricavati da una base della RAF (la compagnia aerea britannica) durante la seconda guerra mondiale e accordati da otto curve destinate a un posto nella memoria di tutti gli appassionati: la Copse, la tris Maggots-Becketts-Chapel che permetteva di arrivare veloci sull’Hangar Straight, che a sua volta conduceva alla Stowe. Poi Club e Abbey, da percorrere senza respiro se si voleva fare il tempo, prima della variante Woodcote, che immetteva su un traguardo insolito visto che era in curva

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circuito-silverstone-fino-al-1985

Roba da cuori forti e piedi pesanti. Tanto che qui Keke Rosberg (Williams) stabilì il record di velocità per una pole-position, rimasto imbattuto per diciassette anni: 259,005 km/h. Era il 1985 e fu l’ultimo giro per il Silverstone delle origini.

Negli anni a seguire, per ragioni di sicurezza, il tracciato andò incontro a profonde modifiche che lo hanno rallentato nella percorrenza, aumentando le curve a diciotto e la distanza da 4.719 a 5.891 metri. Spostata, dopo la Club, anche la partenza. Almeno per la Formula-1. Perché le categorie minori e il motomondiale continuano a scattare dal via tradizionale. Le profonde trasformazioni non hanno però intaccato l’alta competitività di questa pista, cartina tornasole per misurare la bontà di una monoposto perché richiede un ottimo connubio tra potenza e aerodinamica insieme a un’efficace gestione delle gomme. Per cui chi va bene da queste parti, è solito togliersi molte soddisfazioni nel resto della stagione.

Organizzatore dell’evento è da sempre il RAC (Royal Automobile Club), autore anche della speciale coppa in oro (3kg per 64 cm) dal valore di 100.000 sterline per il vincitore, che dal 1963 elesse il tracciato a sede del Gran Premio di Gran Bretagna per gli anni dispari, alternandolo fino al 1986 con un altro santuario del brivido, Brands-Hatch. Poi “l’area boscosa”, secondo una traduzione del nome dall’inglese antico, è diventata tappa fissa del calendario iridato, tanto da essere al terzo posto come edizioni (56) dietro a Monza e Monte-Carlo. E raccontare la sua storia equivale a narrare una parte della storia della Formula-1.

Silverstone ha battezzato la prima pole-position e la prima vittoria della Ferrari (1951) e della Williams (1979), nell’occasione motorizzata Ford, nella giornata dell’ultimo successo di Clay Regazzoni. La casa dell’Ovale Blu è salita altre sette volte sul gradino più alto del podio, facendo da colonna sonora a vari campioni del mondo come Jim Clark (1967, Lotus), Jackie Stewart (1969 su Matra e 1971 su Tyrrell), Emerson Fittipaldi (1975, McLaren) e James Hunt (1977, McLaren).

Le decine di migliaia di spettatori presenti a ogni edizione hanno ammirato Alain Prost trionfare cinque volte con quattro scuderie (Renault, McLaren, Ferrari e Williams), si sono abbuffati con i sorpassi del 1985 e sono andati in visibilio per il loro idolo, Nigel Mansell, quando nel 1987, a pochi giri dal termine, superò in rimonta il compagno di squadra Nelson Piquet e s’involò verso la gloria. Ma hanno anche avuto paura. Per Michael Schumacher, che nel 1999 si fratturò una gamba dopo un’uscita di pista alla Stowe causata da un guasto ai freni, o per il nostro Andrea De Adamich, che nel 1973 uscì indenne da uno spaventoso incidente che pose fine alla sua carriera.

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A Silverstone non sono poi mancate le polemiche, la bandiera nera non rispettata nel 1994 da Schumacher poi squalificato dall’ordine di arrivo, o le follie. Era il 20 luglio 2003, quando un prete irlandese, Cornelius Horan, invase la pista e si mise a correre verso le vetture che arrivavano a 300 km/h, tenendo in mano alcuni fogli dove invitava a leggere la Bibbia.

Si è quasi sempre gareggiato a luglio, ma talvolta sotto diluvi torrenziali scenografie di giornate particolari. Come l’unica affermazione di Ayrton Senna (1988, McLaren); l’anomala vittoria di un pilota che taglia il traguardo dalla pit-lane per scontare una penalità (1998, Schumacher, Ferrari); l’ultimo podio per la Honda come costruttore in un 2008 che segnò il primo degli otto acuti del pilota plurivincitore, Lewis Hamilton. Tra le scuderie invece primeggia la Ferrari con quattordici successi.

Una collana di emozioni interminabili. Al punto che nel 2020, per nutrire un calendario smagrito dalla pandemia, la FIA (Federazione Internazionale Automobile) ha deciso di scritturare Silverstone per una corsa in più: il “Gran Premio del 70º Anniversario“. Per festeggiare il compleanno di quel romanzo iniziato un sabato di maggio di settant’anni prima, non poteva esserci scelta migliore.