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Colonnine elettriche: in arrivo un bonus speciale


Colonnine elettriche: in arrivo un bonus speciale

Dal governo incentivi per la loro installazione

Un incentivo nella corsa all’elettrico. Diffusa in molti Paesi europei, specialmente in quelli della penisola scandinava dove la Norvegia recita la parte del leader con il 65% delle auto immatricolate nel 2021 alimentate a batteria, la cultura dell’auto a zero emissioni fatica ancora ad affermarsi in Italia.

Per smuovere le acque e sensibilizzare a una realtà che sarà il futuro delle quattro ruote, ad agosto il governo ha varato un provvedimento ad hoc. Lo stanziamento di 50 milioni di euro per il 2022 e di altri 350 milioni fino al 2030 a privati e condomini per l’installazione di colonnine elettriche. La misura fa parte del cosiddetto “Decreto Aiuti-bis”, nel quale erano compresi anche gli ecoincentivi per l’acquisto di auto e veicoli green.

Come vi abbiamo raccontato nei mesi scorsi, non è obbligatorio ricaricare l’auto elettrica soltanto da una stazione pubblica. Esistono altre modalità. Per esempio, presso il luogo di lavoro oppure la soluzione “fai-da-te” nella propria abitazione. Gli incentivi del decreto “Aiuti-bis” vanno proprio in queste direzioni e sono finalizzati a sensibilizzare gli utenti verso l’elettrico.

Ma quale sarà il loro funzionamento? Per tutti coloro che predisporranno un impianto di ricarica con potenza standard (e non “fast” o “superfast”), è previsto un contributo pari all’80% delle spese sostenute e delle operazioni necessarie all’installazione dell’impianto, la posa in opera. L’importo non potrà però superare il limite di 1.500 euro per richiedente e di 8.000 euro per quanto riguarda le ipotesi di posa in opera sulle parti comuni di edifici condominiali. Per questi ultimi, previsti anche quorum assembleari simili a quelli già previsti per il bonus 110%.

Il bonus per le colonnine elettriche rappresenta un’altra spinta per diffondere la cultura dell’auto a batterie in Italia. Secondo un report di Acea, il nostro Paese è al quinto posto nell’Unione Europea per la presenza di postazioni di ricarica sul territorio (oltre 23.000). Questo dato però corrisponde soltanto al 7,7% delle colonnine elettriche presenti nel Vecchio Continente, che vede ai vertici di questa speciale classifica Olanda e Germania, che rappresentano quasi il 30 e il 20%.

Non è invece ancora conosciuta la procedura per chiedere il bonus. Sul punto non sono ancora disponibili molte informazioni e si dovrà attendere un apposito decreto da parte del Mise (Ministero Sviluppo Economico). Nel frattempo vi invitiamo a seguire il nostro blog per rimanere aggiornati. Mentre se volete saperne di più sulle offerte in materia di mobilità sostenibile, potete dare un’occhiata al nostro sito oppure passate in una delle nostre sedi.

Biocarburanti: perché non convengono?


Biocarburanti: perché non convengono?

Tutti i motivi per i quali non sono così green come sembrano

Biocarburanti. Una realtà diversa da quel che sembra. Quando si parla di transizione ecologica, non si fa riferimento esclusivamente alla mobilità elettrica. Ma anche a una variante green che, secondo i suoi sostenitori, sarebbe comunque garanzia di sostenibilità ambientale: i biocarburanti.

Che cosa sono? Si tratta di carburanti organici ottenuti dalle biomasse, cioè sostanze organiche animali e vegetali presenti in natura. Come mais, semi di girasole, soia e colza. Questi sono i biocarburanti cosiddetti di “prima generazione”. In alternativa si possono ricavare anche dalla lavorazione degli scarti agricoli, degli oli esausti, dei trucioli di legno, delle alghe marine, delle bucce di semi o dal riciclo di letame e altri concimi di provenienza animale. In questo caso si parla di biocarburanti di “seconda generazione”.

Molto utilizzati dall’altra parte dell’oceano, soprattutto negli Stati Uniti e in Brasile, e adoperati anche in alcuni Paesi europei (Germania, Olanda, Inghilterra), a prima vista i biocarburanti sembrano davvero possedere i requisiti per essere una soluzione ecofriendly. Poiché ricavati da risorse presenti in natura, non si esauriranno mai, a differenza dei combustibili fossili come il petrolio, e garantiscono una riduzione dell’emissione di gas serra fino al 65%. Inoltre, sono una scelta conveniente per quei Paesi privi di giacimenti di greggio, che quindi ne importeranno minori quantità risparmiando sui costi.

Ma allora perché un carburante più economico e più pulito per l’atmosfera rispetto ai tradizionali benzina o diesel, non è conveniente al punto da preferirgli il motore elettrico? Perché attraverso una sua attenta analisi, ci si rende conto delle sue varie criticità.

In primis, come accertato da diversi studi, i biocarburanti producono il 10-13% in più della quota tradizionale di ossido di azoto (NO2). Questo problema si rileva soprattutto con il biodiesel, la versione green del carburante per questo tipo di motori. I quali, per riportare questo valore entro i parametri previsti, dovrebbero essere riprogettati da zero. Una soluzione a dir poco impraticabile.

Altri due problemi non di poco conto sono i costi di produzione e l’impatto ambientale delle materie prime. Un discorso rivolto soprattutto ai biocarburanti di “prima generazione”. Per avere a disposizione la giusta quantità di cereali senza ridurre quella destinata alle produzioni alimentari, è inevitabile intensificare le coltivazioni. Un’azione che comporta un aumento della spesa per disporre di un maggior numero di piantagioni. Ma non solo. Aumentare la disponibilità della materia prima sullo stesso terreno, riducendolo così a un monopolio agricolo, finisce per impoverirlo perché, nel tempo, si va a distruggere il suo ciclo vitale.

Da ultimo, i biocarburanti inquinano più di quanto si pensi. Perché la loro lavorazione dipende sia dall’acqua (ne servono molti metri cubi) che dal petrolio o da suoi derivati come la benzina. Basta pensare, per esempio, soltanto a quella bruciata dalle mietitrebbia impiegate nei campi di mais. Tanto che le grandi industrie emettono un’alta

Ford e i rally: dieci anni fa, l’ultima vittoria ufficiale


Ford e i rally: dieci anni fa, l’ultima vittoria ufficiale

Il 16 settembre 2012 l’Ovale Blu faceva suo il Rally di Gran Bretagna

Anche l’ultima vittoria è come la prima: non si scorda mai. Dintorni di Cardiff, domenica 16 settembre 2012. Il finlandese Jari-Matti Latvala e il suo navigatore Miika Anttila stappano festosi lo spumante appena usciti dalla loro Ford Fiesta RS WRC. Hanno appena vinto il Rally di Gran Bretagna. Il RAC.

Una delle gare icona delle corse a ruote coperte fuoristrada, tra le più famose al mondo (si corre dal 1932, escluso il periodo della seconda guerra mondiale) e la più importante e seguita del Regno Unito. Anche del gran premio di Formula-1 in programma ogni anno sul tracciato di Silverstone e di cui vi avevamo già raccontato. Perché il RAC è l’essenza britannica nel motorsport: fondi impervi, condizioni atmosferiche imprevedibili, velocità sul pedale e destrezza nell’evitare insidie requisiti indispensabili per ambire al successo.

Quello che quel giorno, insieme ai due piloti, festeggiava anche tutto il Ford World Rally Team, la squadra ufficiale del reparto corse dell’Ovale Blu. Sono attimi che lo scorrere del tempo trasformerà in immagini da consegnare alla storia. Dei motori e della stessa casa di Detroit. Perché quella fu la sua ultima vittoria nelle competizioni rallistiche. Due mesi più tardi, al termine della stagione, decise di ritirarsi dal campionato, mantenendo la presenza con alcune sue vetture in dotazione ad alcune scuderie private. Come l’anglosassone “M-Sport“, di proprietà dell’ex pilota Malcolm Wilson, negli anni Novanta due volte sul podio nei rally sempre con Ford.

Così quel fine settimana iniziato fra lo sterrato della contea di Proxy assunse, senza volerlo, un sapore indimenticabile. Anche perché fino a quel punto del campionato sia Ford che Latvala avevano potuto raccogliere molti piazzamenti, ma un solo “hurrà”: nel rally di Svezia, tra neve e ghiaccio, a febbraio. Poi troppo più forte la Citroën di Sébastian Loeb. Il binomio francese aveva di fatto egemonizzato il campionato, aggiudicandosi ben sette delle nove gare disputate fino a quel momento. Agli avversari, in pratica, erano rimaste le briciole.

Non fu così in quel week-end, però. L’Ovale Blu partì fortissimo con le sue Fiesta RS WRC. Spinta da un motore Ford EcoBoost 1.6 a 4 cilindri e 16 valvole turbo, disponeva di un cambio sequenziale manuale a sei marce e trazione integrale. Gommata Michelin, aveva un passo di 2480 millimetri e passava da 0 a 100 km/h in meno di cinque secondi. Nelle prime due prove chiuse davanti alla concorrenza grazie al norvegese Petter Sollberg.

Alla terza però il vento prese la direzione della Finlandia. Latvala fece bingo: successo di tappa e testa della classifica. Un caso? Per niente. Perché “Flying Finn” se la tenne ben stretta anche in tutti e i successivi sedici round, nella quale centrò altri sette traguardi volanti grazie al suo stile di guida aggressivo ai limiti dello sprezzo del pericolo. E l’ultimo giorno,