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Donne al volante: chi fu la prima in Italia?

Donne al volante: chi fu la prima in Italia?

Tra le pesanti ripercussioni sulla condizione delle donne afghane dopo il ritorno al potere dei Talebani potrebbe esserci anche la reintroduzione del divieto di guida. Un diritto conquistato a fatica nell’ultimo decennio, le cronache narrano come trecentocinquanta di loro avessero preso la patente nel 2017 nonostante forti ostracismi di natura sociale ed economica, ma comunque dall’alto valore simbolico. Basti pensare, infatti, che l’ultimo Paese del mondo ad aprire alle donne al volante è stata l’Arabia Saudita nel 2018.

Racconti di questa natura suscitano sconcerto, se si tiene conto della situazione nel resto del mondo. Soprattutto nell’emisfero occidentale. Dove la relazione tra le donne e l’automobile presenta una storia di ben altra natura, che affonda le sue radici alla fine del diciannovesimo secolo. Nel 1888 la tedesca Bertha Benz, moglie di Karl (considerato l’inventore dell’auto), fu la prima donna a compiere un viaggio sulla lunga distanza, percorrendo con i suoi bambini a bordo i cento chilometri che dividevano Mannheim da Pforzheim, due città della Germania sud-occidentale.

Notevole sviluppo alle quattro ruote arrivò anche da Oltreoceano. A due donne statunitensi, Dorothy Levitt e June McCarroll, si devono rispettivamente altrettante invenzioni che hanno fatto la storia della mobilità stradale: lo specchietto retrovisore e la linea di mezzeria.

Anche l’Italia non è stata da meno nel dare il suo contributo. Nonostante una società patriarcale e la difficoltosa condizione sociale delle donne, che hanno avuto un tardivo riconoscimento di alcuni diritti come il voto (soltanto nel 1946 poterono esercitarlo per la prima volta alle elezioni politiche), l’inizio del Novecento vide due signore lasciare un segno indelebile negli annali dell’automobile al punto da contendersi, in epoca contemporanea, il titolo di prima patente rosa del nostro Paese. I loro nomi? Ernestina Prola e Francesca Mancusio Mirabile.

Originaria di Exilles, piccolo borgo della Val di Susa in provincia di Torino dove era nata nel 1876, e moglie di un ingegnere delle ferrovie, Ernestina Prola nel 1907 ottenne dalla Prefettura con il controllo del Genio Civile la “licenza per la conduzione di veicoli“, il documento indispensabile per poter guidare le poche vetture allora circolanti che era stato istituito con il regio decreto regio n. 416 del 28 luglio 1901. Appassionata di motori, si tramanda che abbia avuto anche una esperienza come pilota da corsa.

Il suo primato però è stato messo in discussione a metà degli anni Duemila dall’ACAIS (Associazione Cultori Auto di Interesse Storico) in favore di Francesca Mancusio Mirabile. Nata nel 1893 a Caronia, provincia di Messina, da una famiglia di ricchi possidenti terrieri, già per i sedici anni ricevette come regalo dal padre (cavalier Luigi Mancusio) una “Isotta Franchini”, una delle auto più prestigiose del tempo dal valore di 14.500 lire. E nel 1913 superò l’esame, che si svolse sul Monte Pellegrino, grazie al quale conseguì il “certificato di idoneità a condurre automobili con motore a scoppio“, che le fu rilasciato dalla Prefettura

Alla scoperta di Monza, il tempio iridato dei motori Ford

Alla scoperta di Monza, il tempio iridato dei motori Ford

Che cos’è Monza? È il circuito preferito da Ford per salire in cima al mondo della Formula-1. Autentico totem del motorsport per la sua carta d’identità pressoché centenaria, fu costruito e inaugurato in poco più di cento giorni nel 1922 per volere dell’Automobile Club di Milano, il tracciato sede domenica 12 settembre della novantaduesima edizione del Gran Premio d’Italia ha un feeling speciale con l’Ovale Blu. Perché è il luogo dove i motori col suo nome, i celebri Ford Cosworth, hanno conquistato il maggior numero (sette) dei loro titoli iridati (ventitré) tra piloti e costruttori.

Simbolo di questa età dell’oro, compresa tra il 1969 e il 1978, è Jackie Stewart. Il corridore scozzese, anche consulente della casa di Detroit una volta ritiratosi, proprio sull’autodromo brianzolo si è consacrato alla storia dell’automobilismo. Nel 1969 cinse del primo alloro il suo casco e gli alettoni della tanto sconosciuta quanto inafferrabile Matra. Due anni più tardi vi arrivò fresco del bis, ma ancora affamato per regalare il numero uno anche alla sua monoposto, la Tyrrell. Con la quale nel 1973, sempre a queste latitudini, fu incoronato sovrano dei motori per la terza volta.

Era una Formula-1 romantica. Chi guidava, era un cavaliere del rischio perché le vetture erano fragili e le piste pericolose. A Monza, tanto per fare un esempio, oltre l’asfalto c’erano gli alberi. Per vincere però non c’era sempre bisogno della meccanica migliore, perché era un’epoca dove l’uomo al volante faceva sempre la differenza. Come il brasiliano Emerson Fittipaldi che nel 1972, in questo tempio della velocità, tolse lo scettro dalle mani di Sir Jackie e con i suoi soli punti (61) consentì che il rombo degli otto cilindri Ford facesse da colonna sonora anche alla gioia della sua Lotus.   

Amaro invece l’ultimo acuto, quello di Mario Andretti su Lotus, 10 settembre 1978. A oscurarlo, la tragedia del suo compagno di squadra, lo svedese Ronnie Peterson, morto in ospedale dove era stato ricoverato per la frattura alle gambe rimediata in un incidente al via. Un dramma non episodico. Perché, oltre alla fama e alla gloria, la storia di Monza narra anche dolori.

Nel 1955, durante alcuni test privati, perse la vita Alberto Ascari, ultimo italiano campione del mondo. Uscì di strada all’allora curva del Vialone, successivamente tramutata nella variante che oggi porta il suo nome. Dopo di lui la sventura colpì l’austriaco Jochen Rindt (qualifiche del 1970) e il tedesco Wolfgang Von Trips, che perse il controllo della sua Ferrari prima della curva Parabolica, travolgendo quindici spettatori. Era il 1961 e fu l’ultima edizione sul circuito di dieci chilometri. Già, perché allora il gran premio si disputava su un percorso comprensivo della peculiarità di Monza: l’anello alta velocità, conosciuto anche come “sopraelevata”.

Un ovale lungo 4,2 km e formato

Iva al 4% anche su ibrido ed elettrico: l’ecologia sposa la disabilità

Iva al 4% anche su ibrido ed elettrico: l’ecologia sposa la disabilità

Ecologia e disabilità. Due tematiche guardate con sempre più crescente attenzione da parte dell’automotive italiano e che dal 2020 hanno incrociato le loro strade. Merito delle importanti novità apportate alla legge 104, che ha esteso l’IVA al 4% anche a veicoli ibridi ed elettrici a seguito dell’approvazione da parte del Parlamento del decreto fiscale 124/2019

Per i primi, indipendentemente che siano mild-hybrid, hybrid o full hybrid, rimangono invariati i limiti di cilindrata entro i quali sarà possibile fruire dell’agevolazione: 2800 cc per i motori diesel e 2000 cc per quelli a benzina. Invece per quelli esclusivamente a batteria la soglia massima di potenza è fissata a 150 kW

Anche se non è utilizzabile sui mezzi di grossa cilindrata, questa estensione del benefit colma una lacuna sempre più grande col passare degli anni, visto che la legge 104 risale al 1992, quando alimentazione ibrida ed elettrica ancora non esistevano. 

Per usufruirne, sarà sufficiente che il diretto interessato presenti il certificato attestante la sua disabilità e l’autocertificazione di non averlo già adoperato nel quadriennio precedente. Il vantaggio, tra l’altro, è retroattivo: si ottiene anche se i requisiti sul piano burocratico saranno riconosciuti in un secondo momento. E le agevolazioni comprendono anche l’eventuale sostituzione dei beni che costituiscono l’ausilio alla guida per la persona portatrice di handicap. 

Ma non soltanto fisco. Dal 1° febbraio 2020, grazie al protocollo d’intesa “Self per tutti” – sottoscritto da FAIP, Onlus, Unione Petrolifera, e Rappresentanti delle Associazioni di Categoria – le persone affette da disabilità, una volta giunte negli spazi preposti per il rifornimento delle loro vetture, potranno chiedere l’ausilio dell’operatore al prezzo però del self-service. Ciò permetterà loro di risparmiare fino a 10 centesimi al litro

Per accedere a questa possibilità, i diretti interessati dovranno solo farne richiesta, dopodiché il personale della stazione di servizio espleterà le operazioni di accertamento. Al momento oltre 430 stazioni di servizio di tutta Italia hanno aderito al progetto. 

Confermate inoltre altre due agevolazioni per i disabili: la detrazione IRPEF e l’esenzione dal pagamento del bollo. La prima rimane al 19% delle spese sostenute fino a un massimo di spesa di 18.075,99 euro. Ciò significa che la riduzione più alta conseguibile è pari a 3.434 euro. Essa vale per un solo veicolo, si applica senza limiti di cilindrata su auto nuove e usate, e può essere richiesta fino a quattro anni successivi la sua data d’acquisto. Qualora

Equilibrio, visibilità e sicurezza: le regole per caricare i bagagli delle vacanze

Equilibrio, visibilità e sicurezza: le regole per caricare i bagagli delle vacanze

Trolley, valigie, zaini, borse, giochi per il mare, attrezzatura per le immersioni subacquee e altro ancora. Roberto, dieci anni, era quasi spaventato dalla marea di bagagli assiepata davanti all’auto di famiglia. L’indomani mattina, insieme ai genitori e alla sorella, sarebbe partito per le tanto attese vacanze e non stava nella pelle all’idea di raggiungere gli amici del mare. E anche la sua famiglia non vedeva l’ora di concedersi dieci giorni di completo relax dopo un anno di lavoro, appesantito dalle limitazioni imposte dalla pandemia.

Ora però si chiedeva se mai ci sarebbero arrivati, alla loro casa sulla riviera. Perché le cose da portar via erano davvero tante. E lo spazio della loro Ford Focus, a confronto, gli sembrava troppo piccolo. “Ma sono una montagna!” esclamò tra sé e sé prima di esternare i dubbi a suo padre, che stava arrivando con gli ultimi oggetti: “Papà, ma ce la faremo a caricarli tutti?”. L’uomo rispose con un sorriso, quasi si aspettasse quella domanda, e volle subito rassicurarlo. “Certo Roby, non preoccuparti. Si tratta di un’operazione più semplice di quanto possa sembrare”. Notò però ancora perplessità sul volto del figlio e allora lo invitò ad aiutarlo, così se ne sarebbe reso conto in prima persona.

“La prima regola da seguire” disse mentre apriva il portellone posteriore “è l’equilibrio. La macchina va caricata, ma non sovraccaricata. In poche parole, si deve iniziare dai bagagli più grandi e pesanti”. Al che prese i trolley con i vestiti di tutta la famiglia e li sistemò sul fondo del piano, a contatto col sedile posteriore, cioè il punto più vicino al baricentro della vettura. In questo modo i pesi erano ben distribuiti e il veicolo ne avrebbe guadagnato in stabilità. Incuriosito da queste spiegazioni, il piccolo Roby volle dare il suo contributo e tirò a sé due borse. In una c’erano i giochi per la spiaggia, nell’altra una serie di utensili per la cucina. Voleva metterle sopra le precedenti, ma erano troppo pesanti per le sue braccia. Il padre intervenne per evitare che si facesse male e poi le collocò ai lati del vano dopo averle rovesciate sul lato più lungo. “Perché non le metti al centro e in verticale?”.

La domanda fu un assist per parlare della seconda regola da tenere a mente: la visibilità. “Se facessi come dici, dovrei togliere il piano della cappelliera e formerei una piramide di roba che m’impedirebbe di vedere nello specchietto retrovisore. E questo, oltre che complicarmi la guida, costituirebbe condizione di pericolo. Per cui il piano è come l’argine per il fiume, il limite oltre il quale non possiamo andare”.

Queste parole furono il prologo al terzo e ultimo requisito. Più ampio e fondamentale: la sicurezza. “Tutti i bagagli, Roby, devono essere sistemati in modo da riempire tutti gli spazi a nostra disposizione e formare un blocco unico. Così la macchina è bilanciata

Ecoincentivi Authos: un’occasione per tutto il settore automotive

Ecoincentivi Authos:

un’occasione per tutto il settore automotive

Ecoincentivi, un’opportunità per tutti. Gruppi automobilistici, marche, concessionarie e utenti. Il 26 luglio il governo ha approvato il decreto “Sostegni-bis”, che prevede uno stanziamento di 350 milioni di euro sottoforma di ecobonus per il settore automotive. Una cifra inferiore rispetto alle precedenti erogazioni dell’estate 2020 (550 milioni di euro) e dell’inverno 2021 (420 milioni). Ma comunque di vitale importanza per ossigenare tutte le componenti del mercato delle quattro ruote: produttori, venditori e acquirenti. Perché si fanno ancora sentire le conseguenze della pandemia.

Secondo i dati dell’UNRAE (Unione Rappresentanti Automotive Estero) pubblicati dal mensile “Quattroruote”, le immatricolazioni dei veicoli in Italia del primo semestre di quest’anno hanno accusato una perdita del 18,3% rispetto a quelle registrate nello stesso arco temporale del 2019, cioè l’ultimo riferimento “pre-Covid”.

Per cui, se è evidente e anche prevedibile una crescita rispetto ai primi sei mesi del 2020 (+ 51,4%), siamo ancora distanti da una completa guarigione del settore. Anche perché minato da altre problematiche. Come la chiusura di alcuni stabilimenti a causa della rimozione del blocco dei licenziamenti.

A fronte di tutto ciò è indispensabile che l’universo dell’auto benefici del sostegno governativo. Anche stavolta comunque sbilanciato verso la rottamazione, la prima immatricolazione e la green mobility.

Chi nelle prossime settimane comprerà un’auto nuova e totalmente elettrica (emissioni da 0 a 20 g/km di CO2) o ibrida plug-in (emissioni da 21 a 60g/km di CO2) dal valore massimale di 50.000 euro (Iva esclusa), cedendo indietro la sua vecchia a patto che sia immatricolata entro il 31/12/2010, fruirà di contributi, rispettivamente, di 8.000 e 4.500 euro.

Mentre chi acquisterà una vettura della terza fascia (emissioni da 61 a 135 g/km di CO2) dal valore di 40.000 euro (Iva esclusa), composta da alimentazioni ibride, a benzina e bifuel, beneficerà di uno sconto di 1.500 euro.

Tutt’altro approccio invece da parte di Authos. Anche in questa occasione, come nelle precedenti, le nostre offerte non lasciano per strada nessuno. E abbracciano l’usato, la non rottamazione (se si è in possesso di un veicolo immatricolato dopo il 1°gennaio 2011) o l’acquisto di un veicolo fino a 60 g di CO2, e i veicoli commerciali. Un ventaglio di opzioni forte di sconti di gran lunga maggiori rispetto a quelli statali.

Per le vetture nuove si va infatti dai 21.550 euro di bonus (“con” o “senza” rottamazione) della Ford Explorer ai 6.650 euro (con rottamazione), o 5.750 euro (senza rottamazione), della Ford Puma. Mentre per i veicoli commerciali ci si muove tra un risparmio di 19.300 euro (“con” rottamazione) per il Ford Transit Van Hybrid e i 5.600 euro (“senza” rottamazione) per il Ford

L’eterno fascino di Silverstone, la culla della Formula-1

L’eterno fascino di Silverstone, 

la culla della Formula-1

Un evergreen dal fascino immortale. Dove storia e velocità si fondono in un’atmosfera magica e adrenalinica al punto che sembra di stare in un luogo fuori dal tempo. Questo e molto altro è Silverstone, uno dei circuiti simbolo delle corse e soprattutto della Formula-1.

Perché fu proprio qui, nel profondo delle campagne del Northamptonshire, centrotrenta chilometri a nord-ovest di Londra e le sole tonalità del verde come colori, che si corse il primo gran premio valido per il campionato del mondo. Era il 13 maggio 1950, un sabato. Vinse un italiano, Giuseppe Farina, su una vettura italiana, l’Alfa Romeo, a oltre 150 km/h di media. Un’ode alla velocità – la sua “158” sprigionava 350 CV contro i 995 CV della Mercedes di oggi – composta su quattro rettifili ricavati da una base della RAF (la compagnia aerea britannica) durante la seconda guerra mondiale e accordati da otto curve destinate a un posto nella memoria di tutti gli appassionati: la Copse, la tris Maggots-Becketts-Chapel che permetteva di arrivare veloci sull’Hangar Straight, che a sua volta conduceva alla Stowe. Poi Club e Abbey, da percorrere senza respiro se si voleva fare il tempo, prima della variante Woodcote, che immetteva su un traguardo insolito visto che era in curva

Roba da cuori forti e piedi pesanti. Tanto che qui Keke Rosberg (Williams) stabilì il record di velocità per una pole-position, rimasto imbattuto per diciassette anni: 259,005 km/h. Era il 1985 e fu l’ultimo giro per il Silverstone delle origini.

Negli anni a seguire, per ragioni di sicurezza, il tracciato andò incontro a profonde modifiche che lo hanno rallentato nella percorrenza, aumentando le curve a diciotto e la distanza da 4.719 a 5.891 metri. Spostata, dopo la Club, anche la partenza. Almeno per la Formula-1. Perché le categorie minori e il motomondiale continuano a scattare dal via tradizionale. Le profonde trasformazioni non hanno però intaccato l’alta competitività di questa pista, cartina tornasole per misurare la bontà di una monoposto perché richiede un ottimo connubio tra potenza e aerodinamica insieme a un’efficace gestione delle gomme. Per cui chi va bene da queste parti, è solito togliersi molte soddisfazioni nel resto della stagione.

Organizzatore dell’evento è da sempre il RAC (Royal Automobile Club), autore anche della speciale coppa in oro (3kg per 64 cm) dal valore di 100.000 sterline per il vincitore, che dal 1963 elesse il tracciato a sede del Gran Premio di Gran Bretagna per gli anni dispari, alternandolo fino al 1986 con un altro santuario del brivido, Brands-Hatch. Poi “l’area boscosa”, secondo una traduzione del nome dall’inglese antico, è diventata tappa fissa del calendario iridato, tanto da essere al terzo posto come edizioni (56) dietro a Monza e Monte-Carlo. E raccontare la sua storia equivale a narrare una parte della storia della Formula-1.

Silverstone ha battezzato la prima pole-position e la prima vittoria della Ferrari (1951) e della Williams (1979), nell’occasione motorizzata Ford, nella

Authos e lead generation: dove niente è lasciato al caso

Authos e lead generation:

dove niente è lasciato al caso

“Il lead è l’ultima goccia di acqua nel deserto”. Così Francesco Di Ciommo, presidente e CEO di Ford Authos, ha definito la lead generation. Vale a dire il cuore pulsante del nostro modello di business, che ha preso il via proprio col suo insediamento ai vertici dell’azienda nel 2014 e che nel corso di questi anni si è rivelato una scelta vincente.

Se la capacità di generare contatti interessati al prodotto di riferimento è una delle strategie più diffuse nel mondo dell’impresa, è anche vero che ciascuna realtà la sviluppa secondo una propria filosofia. Quella di Authos è la felice combinazione di umano e digitale, dove niente è lasciato al caso. A cominciare dall’utente, che viene sempre seguito e gestito dall’inizio, cioè da quando chiede informazioni su un modello di vettura o manifesta interesse verso una nostra iniziativa attraverso i social network, alla fine, ovvero quando acquista il mezzo più congeniale alle sue esigenze.

Un processo intenso e reso possibile dall’impegno senza sosta di tre microcosmi dell’universo Authos: il BI (Business Intelligence), il BDC (Business Development Center) e il DM (Digital Marketing). Il primo, dove sono impiegate tre persone, ha il compito di raccogliere il lead. E lo fa con una strategia mirata a ottenere un ingaggio molto qualificato. All’utente, oltre ai dati anagrafici e i recapiti per essere contattato (numero di telefono e posta elettronica), viene chiesto il tipo di auto che possiede, la marca, il modello, l’anno e il numero di chilometri. Tutte informazioni funzionali a capire i suoi bisogni e a quale sia il tipo di offerta più congeniale per soddisfarli.

A questo punto entra in gioco il BDC, che con le sue risorse (al momento vi lavorano in quattordici) ha la missione di trasformare i contatti acquisiti in appuntamenti, fisici o telefonici, con uno dei cinquanta consulenti per la trattativa di acquisto. Se questa dovesse chiudersi, il lead verrà inserito in un database e verrà contattato per le azioni del post-vendita, come il tagliando o la revisione. Se invece la trattativa non dovesse concretizzarsi, il lead sarà collocato in un’altra banca dati e continuerà a ricevere offerte in base alle informazioni date al BI.

Componente determinante per il successo di questo modello di business è il digitale. Fin dalle prime battute la lead generation di Authos ha smesso di vagare nelle terre della comunicazione cartacea per spostarsi verso la nuova frontiera telematica: il web e, in particolare, i social network. Una scelta vantaggiosa innanzitutto sul piano economico, perché gli investimenti sono molto più bassi e, al tempo stesso, molto più potenti.

Un messaggio veicolato con un post su Facebook, o Instagram, i social network dove Authos è più attiva, raggiungono molte più persone rispetto allo stesso contenuto veicolato su una pagina di giornale. Il traffico virtuale è dunque centrale nel processo di lead generation e in tal senso è determinante il lavoro dell’ufficio marketing con

Authos a 18 anni: il mio punto di vista

Authos a 18 anni:

il punto di vista di Martina

‘Ciao sono Martina, ho diciotto anni e frequento il quarto anno del liceo scientifico. Grazie al progetto alternanza scuola-lavoro ho avuto la possibilità di entrare nel team Authos, una delle aziende del settore automotive più importanti del territorio piemontese. Ho scelto quest’impresa anche perché è stata completamente rinnovata e a partire dal 2014, con l’arrivo del nuovo presidente, l’azienda ha deciso di guardare al futuro assumendo numerosi ragazzi giovani e implementando un processo di digitalizzazione.

Durante la prima settimana di tirocinio, ho avuto modo di conoscere meglio i dipartimenti dell’azienda, iniziando da quello del marketing.  E’ qui che si cura la comunicazione interna ed esterna, viene gestito un budget dedicato alle campagne di advertising e definita la programmazione social media e del sito web.

Nei giorni in cui ho fatto affiancamento, stava avvenendo il lancio del nuovo canale ufficiale TikTok e sono rimasta particolarmente colpita dalla cura e del tempo necessari per realizzare ogni contenuto.

Successivamente sono passata al reparto BI (Business Intelligence), in cui si procede all’analisi dei dati che arrivano dai vari canali in cui l’azienda è presente. Ho imparato a utilizzare le tabelle pivot su Excel per realizzare i report mensili relativi alle vendite e anche a usare i programmi per inviare gli SMS promozionali.

In seguito ho visitato le sedi di Authos presenti sul territorio, restando qualche ora in più allo Smart Lab di Grugliasco, un concessionario all’interno del centro commerciale Le Gru, inaugurato nel 2017 e rinnovato pochi mesi fa. Qui ho affiancato i Lead Generator, figure professionali che si occupano della raccolta dei riferimenti e dei contatti delle persone interessate a una vettura o ad un servizio che l’azienda propone. Durante il periodo di formazione in questa sede, era presente una nuova vettura, la Mustang Mach-E. Un’auto che rappresenta un’enorme innovazione nel mondo Ford, poiché primo SUV della linea Mustang, ed unica Ford totalmente elettrica.

Per concludere il periodo di formazione sono passata infine al Business Development Center, detto anche BDC. I ragazzi che lavorano qui si occupano dei lead, cioè i contatti, e di soddisfare le loro richieste. Il compito principale è gestire le chiamate in ingresso e in uscita, fissare appuntamenti, rispondere a email ed sms.

Dopo aver terminato queste prime due settimane sono giunta alla conclusione che quest’azienda riassume perfettamente il concetto di ‘catena di montaggio’ introdotto da Henry Ford nel ‘900: ogni parte è specializzata in una mansione, ma nessuna di esse può esistere senza le altre e tutti i settori sono tra loro interconnessi.

L’esperienza che sto vivendo mi sta facendo capire che il mondo del lavoro oggi è fortemente meritocratico e di conseguenza è necessario impegnarsi sempre al massimo in tutto ciò che si fa per raggiugere gli obbiettivi prefissati. Mi auguro, tra qualche anno, di ritrovarmi a lavorare in una realtà fortemente stimolante e innovativa, in grado come quest’azienda, di accendere in me la curiosità e la voglia di imparare e lavorare duramente’.

Dal dispositivo anti-abbandono al tipo di seggiolino: tutto quello che serve per una vacanza in regola

Dal dispositivo anti-abbandono al tipo di seggiolino:

tutto quello che serve per una vacanza in regola.

Bimbi a bordo, si parte! Arriva l’estate, finiscono le scuole e ritorna il tempo delle vacanze. Anche per le famiglie che nelle prossime settimane, per interrompere lo stress del lavoro e delle limitazioni imposte dalla pandemia, si concederanno un periodo di meritato riposo al mare o in montagna. E una parte di loro, quelle con bambini di età non superiore ai dodici anni, dovranno assicurarsi di essere in regola con i seggiolini per il trasporto dei loro figli.

A cominciare dalla presenza su di essi del dispositivo anti-abbandono. Una misura obbligatoria dal 7 novembre 2019, quando sulla Gazzetta Ufficiale è stata pubblicata la legge n. 117, approvata dal Parlamento dopo un iter non certo in discesa e più comunemente conosciuta come “legge Salva Bebè”. In base a essa i seggiolini adibiti al trasporto di minori di età pari o inferiore ai quattro anni devono essere dotati di un dispositivo sonoro, pronto a entrare in azione e richiamare l’attenzione del genitore qualora abbia dimenticato la sua creatura all’interno dell’abitacolo.

Questo provvedimento si è reso necessario a fronte del sempre più crescente numero di episodi di questo tipo, alcuni dei quali purtroppo sfociati in tragedia. Soltanto nel 2019 ci furono ben nove casi in tutta Italia, in pratica tre ogni quattro mesi. Per chi sarà sorpreso non essere a norma, previste pesanti sanzioni. Sul piano economico da 81 a 326 euro di multa, mentre su quello disciplinare si decurteranno cinque punti dalla patente, che potrà essere ritirata da un minimo di quindici a un massimo di sessanta giorni qualora l’infrazione venga commessa più volte nell’arco di un biennio.

Questa novità rappresenta l’ultimo miglioramento relativo al trasporto dei bambini in auto.  Un tema già regolamentato a dovere dall’articolo 172 del Codice della Strada, che fissa a dodici anni il limite d’età per l’uso obbligatorio del seggiolino in auto. A questo parametro si aggiunge quello dell’altezza, che deve essere uguale o inferiore ai 150 centimetri. Qualora quest’ultima sia superata prima del fattore anagrafico, sarà più che sufficiente che il minore in questione allacci le cinture di sicurezza per viaggiare. In alternativa, se non dovesse aver superato la soglia dell’altezza dopo l’età massima, si consiglia l’inserimento di un rialzo sul sedile.

Viene quindi ora da chiedersi se dalla culla alla pre-adolescenza sia più che sufficiente un solo modello di seggiolino per trasportare un bambino. La risposta è negativa. Assecondando quanto già suggerito dalla logica, una normativa europea, la UNECE R44/04, ha stabilito cinque gruppi di seggiolini. Discriminante per differenziarne la tipologia, il peso del piccolo.

Si comincia col “Gruppo 0”, le cosiddette navicelle, adibite a neonati fino ai 10 kg, da adagiare parallelamente al sedile posteriore, dunque trasversalmente rispetto al senso di marcia. In senso contrario a quello di guida devono invece essere sistemati gli ovetti, vale a dire i seggiolini del “Gruppo 0+”, appartenenti a bambini che non

La pioniera dell’automobile inventrice dello specchietto: Dorothy Levitt

La pioniera dell’automobile inventrice dello specchietto: 

Dorothy Levitt

“Specchio specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame?” si domandava la matrigna di Biancaneve mentre era intenta a rimirare il suo volto davanti a uno specchio per dar sollievo alla sua vanità. Era il 1812 e la fiaba dei fratelli Grimm iniziava a diffondersi in Europa, raggiungendo in breve tempo una notorietà inalterata fino ai giorni nostri. A rimanerne conquistata, qualche decennio più tardi, anche una bambina inglese che, divenuta adulta, sull’onda di quelle parole ebbe un’idea che avrebbe avuto un successo epocale: lo specchietto retrovisore.

Lei si chiamava Dorothy Elizabeth Levitt e merita un ritratto nella galleria delle donne che hanno fatto la storia dell’automobile. Come June Mc Carroll, l’inventrice della linea di mezzeria, della quale vi avevamo già parlato.

Perché lo specchietto retrovisore è un elemento fondamentale per la guida in quanto sinonimo di sicurezza. Attraverso le immagini che ci propone nell’abitacolo, è possibile conoscere in tempo reale, mentre siamo al volante, che cosa sta accadendo alle nostre spalle e capire quando sia il momento giusto per prendere una decisione, come un sorpasso o l’uscita in retromarcia da un parcheggio, senza mettere a repentaglio l’incolumità nostra e degli altri automobilisti.

Certo, la sempre più massiccia tecnologizzazione delle vetture, si pensi per esempio alla telecamera posteriore, oggi facilita oltremodo questo tipo di operazioni. Però, per almeno un secolo, l’unico prezioso alleato del guidatore era questo piccolo vetro rettangolare che alla sua inventrice balenò nella mente nel 1909, durante la stesura del suo The Woman and the Car: a chatty little handbook for all women who motor or who want to motor (“La donna e l’automobile: un libricino ciarliero per tutte le donne che sono motorizzate o che vogliono esserlo”), nel quale espose consigli e suggerimenti per le donne che ambivano a cimentarsi da sole alla guida. E in qualche modo la vanagloria della matrigna di Biancaneve ebbe il suo peso. Perché mentre teorizzava che “Una donna al volante non dovrebbe mai fare a meno di un piccolo specchietto per guardarsi alle spalle, la Levitt pensava allo specchietto da trucco che portava sempre con sé, anche quando era col piede sull’acceleratore, per assicurarsi la perenne impeccabilità del suo maquillage.

Ma nella sua invenzione ci fu molto più che vanità. Perché fino a quel momento Dorothy Levitt aveva maturato un’esperienza sterminata con le automobili al punto da essere considerata una pioniera del settore e soprattutto dell’emancipazione femminile, se si pensa come all’inizio del Novecento la società fosse governata da pregiudizi e disparità secondo le quali la guida, oltre che per i più abbienti, era un’esclusiva maschile. Lei ebbe il merito di rompere questi schemi grazie alla sua passione alla sua determinazione.

Nata il 5 gennaio 1882 nel quartiere londinese di Hackney, Dorothy Levitt proveniva da una famiglia facoltosa di origine ebraica, impegnata nel commercio del tè e dei gioielli. La scintilla per i motori scoppiò all’inizio del secolo

Un’altra ragione per scegliere l’elettrico? La manutenzione

Un’altra ragione per scegliere l’elettrico?

La manutenzione

Dovete scegliere la vostra prossima auto, ma siete indecisi? L’elettrico vi incuriosisce però temete di rimpiangere il rombo del vostro motore a quattro tempi?

Bene. Pensate allora per un attimo a quando porterete il vostro futuro acquisto in officina. Perché la manutenzione di una vettura a batterie è meno complessa e soprattutto meno costosa rispetto a quella per una ad alimentazione tradizionale.

Già perché non si fermano dunque a una maggior tutela dell’ambiente, tra riduzioni dell’inquinamento acustico e abbassamento delle emissioni di CO2, o alle agevolazioni in materia di viabilità cittadina, accesso alle ztl e parcheggio gratuito, i vantaggi della mobilità sostenibile. Ma abbracciano anche una sfera di grande importanza per ogni tipo di veicolo: quella del mantenimento della sua piena efficienza.

Al pari di tutti i beni di consumo anche l’automobile è soggetta all’usura. Del tempo e degli sforzi. Un suo prolungato utilizzo può inoltre renderla più esposta a eventuali problematiche che possono condizionarne il funzionamento se non portarla, in alcuni casi, a vere e proprie rotture. Così, come per un atleta è previsto il costante monitoraggio del suo stato di salute per garantire prestazioni di livello, anche per la nostra fedele compagna di viaggio è obbligatorio il check-up. Non certo in uno studio medico bensì in officina.

Dove per le vetture elettriche una tappa come il tagliando, da effettuare ogni 20-30.000 chilometri o una volta all’anno se le percorrenze sono di gran lunga inferiori, si rivela particolarmente vantaggiosa rispetto alle cugine spinte da propulsori termici. Sia come tempistica che come spesa.

Questo accade perché proprio la presenza delle batterie non rende più necessaria una serie di operazioni come la sostituzione del filtro dell’olio, del filtro dell’aria, delle candele, degli iniettori e del liquido refrigerante che evita il surriscaldamento del motore.

I meccanici dovranno così verificare la salute della batteria a 12 volt e di quella a ioni di litio, cuore pulsante dell’energia della vettura. La prima si sostituisce ogni tre-quattro tagliandi, la seconda ogni otto. Insieme alle due fonti di carica sarà controllato anche il filtro abitacolo, gli pneumatici e le pastiglie dei freni, il cui consumo è però inferiore rispetto a quello di una macchina tradizionale grazie al recupero dell’energia in fase di decelerazione che evita arresti bruschi. Prima di mettere mano al veicolo sarò però fondamentale metterlo in sicurezza, scollegando l’impianto elettrico per isolare la corrente.

Per realizzare questo tipo di interventi è fondamentale avvalersi di figure professionali competenti in materia. A oggi, considerando che la mobilità ecologica non è ancora decollata, il loro numero è ancora basso. Ma in un futuro a breve-medio termine è destinato a crescere.

Dai tempi d’intervento ai costi. Sempre all’insegna del guadagno. Da un’indagine condotta dal sito internet SicurAuto.it è stato calcolato infatti che il tagliando di un’auto elettrica nei primi sei anni garantisce un risparmio del 75% per la manutenzione rispetto a quello per

Un nuovo ruolo della domanda e del cliente: così cambia l’automotive

Un nuovo ruolo della domanda e del cliente:

così cambia l’automotive

“Nel pieno delle difficoltà risiede l’occasione favorevole” teorizzò Albert Einstein. Una frase quanto mai attuale per il settore dell’automotive, tra i più colpiti dalla crisi economica dovuta alla pandemia da Covid-19 e al centro di un processo di trasformazione decisivo per il suo futuro. Perché se vorrà mantenere competitività, il mondo delle quattro ruote dovrà attuare cambiamenti significativi per quanto riguarda il ruolo della domanda e quello del cliente.

Due componenti fondamentali, integrate fra loro, con la prima che al giorno di oggi ha radicalmente modificato le sue sembianze. Perché non più reale, ma virtuale. Il web ha ormai un’importanza centrale nella vita di ciascuno di noi, basti pensare soltanto alla prenotazione di una visita medica o di un esame universitario, effettuabili dal nostro pc o dal nostro smartphone mentre fino a poco più di dieci anni fa erano possibili soltanto in presenza.

Questo nuovo stile di vita, fondato sul digitale e sulla connettività, si è esteso anche ad altri settori del quotidiano, come il commercio che si è sempre più spostato sulla Rete. Una tendenza che ha ricevuto un forte impulso la scorsa primavera con il dilagare del coronavirus tanto che, secondo uno studio dell’Osservatorio eCommerce B2C del Politecnico di Milano, nel 2020 le vendite online sono aumentate del 26% per una stima di guadagni superiore ai 22,7 miliardi di euro.

Ma il web non è soltanto un luogo dove si acquista bensì anche il serbatoio primario dove si cercano e si prendono informazioni su ciò che ci interessa acquistare. Azioni che per l’automotive al momento incontrano perlopiù insoddisfazione, perché l’offerta di mobilità non è ancora adeguata all’altezza della domanda. Una criticità che a questo punto chiama in causa l’altro attore di questo processo di trasformazione: il cliente.

Le sue esigenze di mobilità sono aumentate, è diventato un protagonista del processo di acquisto e necessita di un’offerta ampia e vasta che possa soddisfarlo. Un upgrade che chiama il dealer a uno step di crescita con la messa a punto di un nuovo modello di business dove proprio il cliente assume centralità e dove è prevista un’offerta strutturata sul digitale e che sia in grado di fornirgli servizi plurimi e connettività. In una parola, qualità.

Per riuscire in questo intento, occorre anche una nuova strategia interna all’azienda. Sempre fondata sul digitale, che con un ottimo lavoro di lead sappia intercettare le esigenze del cliente e convertirle in un’adeguata risposta di servizi. Altrettanto fondamentale, dunque, sempre nei processi interni, la creazione di un database e di una community, perché consentono d’individuare le abitudini attuali dei consumatori e definire anche l’ecosistema di servizi di cui possono aver bisogno.

Ma perché questa trasformazione si possa compiere, è determinante un cambiamento di mentalità anche da parte di chi fa impresa. Deve prendere coscienza che i tempi sono in evoluzione e che per rimanere competitivi occorre il coraggio